Dalla terra cielo (IV)
Separati com’erano dalle proprie discrepanze e i contrassegni identitari, il Matto e la Matta si incastravano come pezzi complementari di un puzzle, si riconoscevano continuamente nelle parole trattenute, negli abbracci e nei baci dati a singulti, nei ricordi delle loro passeggiate infinite. Un’alleanza suggellata da un tempo e da uno spazio che erano come spogliarsi delle maschere indossate negli anni ed essere una sola persona per sempre… Adesso lui sarebbe entrato nel tempo e nello spazio della Matta, assimilando assiduamente per chissà quanto gli imprevedibili dettagli che il Matto conosceva già come se facessero parte di lui, le idiosincrasie e le contraddizioni della Matta, il significato esatto di un sorriso o di un gesto o di un cenno, le sue idee o semplicemente il disordine universale dei suoi costrutti mentali e dei suoi sentimenti, i suoi rimpianti e i suoi ricordi. Adesso lui sarebbe entrato in quell’interregno tra sogno e realtà ad aspettare che lei si svegliasse, a vedere la fine della notte dalla finestra del motel, il sole radente che scivolava fra le tende della camera per infilarsi nel letto insieme a loro, per iniziare a giocare con i capelli della Matta, con il suo seno. Il Matto giocava a nascondersi sotto le lenzuola, a scomparire in quell’oceano dall’aria spessa e poi, di schiena, piegare a poco a poco le gambe sollevando le lenzuola con le ginocchia per fare una montagna, e dentro la montagna stabilire i confini del loro mondo e giocare lì pensando che la realtà sia soltanto quella, che fuori dalla montagna non ci sia niente, che il mondo sia solamente quel piccolo recinto e che si sta bene nel mondo e non c’è bisogno d’altro. Il Matto guardava tanto la Matta, sapendo che si sarebbe svegliata spaesata e stupita come sempre, che non avrebbe capito niente, né la montagna segreta né il suo modo di guardarla, e che insieme avrebbero iniziato come sempre un nuovo giorno, sorridendosi e “pane e marmellata!”, guardandosi e “caffè, caffè, montagne di caffè!”